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De Magistris rischia il crac. Ecco perché la “culla della protesta” nasce a Napoli

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Sono cominciati i titoli di coda. Almeno da un pezzo. De Magistris tenta la fuga dalla città che l’ha votato per 2 tornate elettorali per approdare a Bruxelles. Non è un mistero che l’ex pm stia ragionando in queste settimane per misurarsi alle imminenti elezioni europee attraverso una propria lista. L’obiettivo resta il 4%, ovvero la soglia minima per essere eletti al Parlamento Europeo. Proclami, poltrone e chiacchiere per uno scopo ben preciso. Ottenere un’ancora di salvezza che lo salvi dal fallimento politico napoletano. Ebbene si. Al netto di miracoli (impossibili) dell’ultim’ora, la consiliatura arancione sarà ricordata fra le peggiori esperienze che Napoli abbia mai affrontato. Ma andiamo con ordine. Da quali scelte e da quali errori è nato il “fenomeno De Magistris”? Partiamo dal dato politico. Nel 2011 la città si apprestava a lasciarsi alle spalle il ventennio a guida Pds/Ds/Pd targato Bassolino – Iervolino. Un’epoca che, nel bene e nel male, ha segnato un pezzo di storia del capoluogo partenopeo. Ai nastri di partenza il centrosinistra si spaccò su due fronti. Il Pd, dopo le polemiche sullo storico caso dei cinesi, ed il conseguente ritiro dalla competizione di Andrea Cozzolino, attuale deputato europeo dem ed ex figlioccio di Bassolino, candidò Mario Morcone, ex Prefetto di Arezzo originario di Caserta, sostenuto da Sel, il vecchio partito di sinistra dell’ex Governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, e da alcune liste civiche. La scelta del partito napoletano fu vista agli occhi di molti come un vero e proprio regalo al centrodestra. Sotto certi aspetti, fu proprio così. L’altra parte del centrosinistra non condivise la posizione assunta dal Pd. L’Idv, guidata su scala nazionale dall’ex magistrato Antonio Di Pietro, si sfilò dall’alleanza naturale insieme a Rifondazione Comunista e pescò in una storica famiglia di magistrati originari del Vomero.

Dal cilindro dipietrista uscì De Magistris, che fu visto come candidato marginale rispetto alle aspettative degli elettori e sicuro sconfitto al primo turno. A beneficiare della mancata unità del centrosinistra fu Gianni Lettieri, candidato sindaco del centrodestra ed ex Presidente dell’Unione degli Industriali per la Provincia di Napoli. I risultati del primo turno rispecchiarono quasi totalmente le proiezioni prima del voto. Lettieri ottenne quasi 180mila voti (38%). Una percentuale altissima per un candidato sindaco del centrodestra in una roccaforte rossa come Napoli. Ed il centrosinistra? Fra lo stupore generale il Pd, dopo anni di vittorie, si fermò al primo turno raccogliendo il 19% delle preferenze. Al secondo turno approdò proprio De Magistris. Piccolo particolare. Rispetto ai voti ottenuti dalle liste che lo sostennero, il candidato sindaco Idv raddoppiò i consensi sulla sua persona. In altre parole, i partiti della coalizione insieme ottennero quasi 70mila voti. L’ex pm fu protagonista di un boom elettorale raccogliendo circa 128mila preferenze. Un dato politico di assoluta importanza. La gente decise di voltare pagina dopo il ventennio a guida Pd. Scelse il candidato della discontinuità, della rottura che ottenne molti più consensi delle proprie liste. Un vero e proprio valore aggiunto. Al ballottaggio questo dato si confermò in maniera ancor più schiacciante. De Magistris continuò nel solco della protesta contro i partiti tradizionali parlando per tutta la campagna elettorale alla pancia dei napoletani. Il risultato fu storico. L’ex europarlamentare dipietrista stravinse al secondo turno col 65%, pari a circa 264mila voti. Per Lettieri, forte del dato del primo turno, fu una debacle assoluta, racimolando addirittura meno voti (circa 140mila) della precedente competizione. Il resto è storia nota.
Nel 2011 Napoli fu la culla dell’antipolitica.

Il fortino del voto di protesta contro i partiti. Ancor prima del M5S che in quegli anni non aveva ancora assunto contorni nazionali. A torto o a ragione, De Magistris è stato il promotore della protesta in Italia come alternativa al sistema dei partiti. Ovvero il “grande precursore” degli argomenti grillini. Le continue conferme di tale ragionamento sono arrivate nel corso degli anni della sua consiliatura. Dai continui attacchi al governo nazionale fino al disastro politico ed amministrativo sulla città. Napoli è una comunità in ginocchio. Dall’emergenza criminalità al settore dei trasporti. Dalle periferie, abbandonate in un degrado senza fine, alla storica questione irrisolta di Bagnoli. Cambiano i commissari ma non la realtà. Ma non è tutto. Dalla rivoluzione arancione hanno preso le distanze le poche personalità politiche in grado di creare un valore aggiunto all’interno dell’amministrazione comunale e governare insieme al primo cittadino la città. Su tutti Tommaso Sodano, ex vicesindaco della giunta arancione nonché storico esponente della sinistra in Campania, fra i pochi critici del potere bassoliniano, e David Lebro, ex vicesindaco metropolitano che appoggiò De Magistris al ballottaggio nel 2011. Del resto, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il malessere crescente dei cittadini nei confronti di un sindaco che ha preferito i proclami alle risposte, è la ciliegina sulla torta. Alla pura protesta ritorna il nobile concetto della classe dirigente, della formazione degli amministratori, di un’idea della vita e del mondo totalmente diversa dallo sfascio arancione di questi anni. Una riflessione che dovrebbe coinvolgere l’opposizione consiliare che negli ultimi anni ha letteralmente regalato la città in termini politici a De Magistris. L’alternativa esiste ed è dietro la porta. Perché in politica, così come nella vita, non si vince e non si perde mai per sempre.

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