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Social Network e giovani d’oggi: benefici o danni?

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Social Network e giovani d’oggi: benefici o danni?

di Valeria Ariemma

Siamo sicuri che i social network rappresentano il risultato di una società emancipata, al passo coi tempi o, invece, essi non sono altro che il risultato di una società sempre più malata e degradata?

La maggior parte dei ragazzi, nel periodo più critico del loro sviluppo, quello dell’adolescenza fanno, spesso, fatica a conoscere e comprendere realmente se stessi, il proprio potenziale ed i propri limiti ed è esattamente in queste circostanze che agiscono profondamente i Social Network, dando a tutti la possibilità di potersi inventare una “personalità alternativa” con la quale accedere alla rete.

Più ci si connette e interagisce con i social network e più ci si abbandona a se stessi, finendo così col perdere completamente il contatto con gli altri, con la realtà che ci circonda.

I Social Network hanno, paradossalmente, innescato un meccanismo opposto rispetto al quale sono stati creati, ovvero anziché avvicinare le persone, a poco a poco le stanno allontanando.

Basta semplicemente guardarsi intorno, per strada, sui mezzi pubblici e nei locali per notare che sembra essere molto più importante e stimolante il profilo di una persona sui social piuttosto che la persona in sé; privilegiando, così, sempre più la “quantità”(numero di amici che si ha) alla “qualità” (rapporti reali instaurati).

L’interesse degli esperti riguardo al “fenomeno social network” è aumentato nel momento in cui piattaforme quali: WhatsApp, Facebook, Instagram, Snapchat e Twitter hanno raggiunto dei numeri esorbitanti e una percentuale di utilizzo tra i più giovani che va oltre l’80%.

Gli esperti, in questi ultimi anni, si sono interrogati sull’uso dei social network cercando di scoprire se questi sono davvero così pericolosi per gli utenti, in particolar modo per i più giovani.

Le opinioni di molti esperti, tra cui sociologi e psicologi, sui social network sono molto contrastanti tra loro; infatti c’è chi afferma che essi sono “il male assoluto”, in quanto i loro effetti potrebbero provocare un’alienazione dell’utente dalla società e c’è, invece, chi afferma che se utilizzati adeguatamente potrebbero aumentare la propria autostima.

Alcuni importanti studi scientifici hanno analizzato gli effetti dei social network sugli adolescenti.

Secondo una ricerca della 1Royal Society for Public Health britannica realizzata insieme allo Young Health Movement, delle cinque piattaforme analizzate (Instagram, Facebook, Twitter, Snapchat e YouTube), Instagram risulterebbe la piattaforma più pericolosa per la salute mentale dei giovani, in quanto provocherebbe depressione, stati d’ansia e la Fomo (fear of missing out) ovvero la sindrome da esclusione che porterebbe gli utenti nel panico quando sono off line non potendo controllare di continuo gli aggiornamenti.

Mentre la piattaforma che risulterebbe meno pericolosa è YouTube, in quanto non provocherebbe alcuna conseguenza negativa sulla propria autostima.

I social network sono, indubbiamente, strumenti alquanto vantaggiosi ma è opportuno utilizzarli in maniera corretta e soprattutto essere al corrente di tutti i pericoli che si celano dietro di essi.

Le aspettative, dunque, per la ricerca futura sono quelle di individuare ed analizzare le determinate attività svolte sui social che possono provocarne un uso più problematico e di monitorare fenomeni psicosociali quali il cyberbullismo e la dipendenza da videogiochi.

Sarebbe opportuno, a tal proposito, educare i ragazzi ad un utilizzo più corretto e responsabile dei social network ed incentivare interventi nelle scuole con l’obiettivo di privilegiare la qualità migliorando l’utilizzo dei social anziché la quantità riducendone l’utilizzo.

Sarebbe proprio il caso di dire “spegni” la vita on-line ed “accendi” quella reale.

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Commercio, sempre più negozi cittadini e centri commericali chiudono con ricadute sull’occupazione

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Sempre più negozi cittadini chiudono con ricadute sull’occupazione.
Se ne apre uno, abbassano la serranda tre, secondo un noto sindacale nazionale di settore.
La crisi è stata acuita ultimamente dalle vendite on-line con consegna a domicilio, di questo passo si rischia che i centri urbani, senza più esercenti, diventino città-dormitori, più brutte, deserte e anche più pericolose.

“Assolutamente sì, è indispensabile un intervento dall’alto per fermare questa deriva che sta arricchendo sempre gli stessi colossi globali e impoverendo le economie locali. In Italia, il commercio fisico è stato lasciato senza strumenti per competere – dice Gaetano Graziano, Vicepresidente dell’associazione dei direttori dei centri commercialiAltri Paesi – continua – hanno capito il rischio e hanno agito: la Francia ha imposto una tassazione sui giganti del web per riequilibrare la concorrenza, la Germania ha investito nel supporto tecnologico ai negozi e il Regno Unito ha ridotto le imposte sugli esercizi commerciali per abbattere i costi di gestione. Nel nostro Paese, invece, non si è fatto nulla di tutto questo, con il risultato che le chiusure aumentano e i centri urbani si svuotano. Senza una strategia nazionale che includa sgravi fiscali, incentivi per la digitalizzazione e una regolamentazione più equa per l’e-commerce, il commercio locale sarà destinato a scomparire, con conseguenze gravissime sul PIL, sull’occupazione e sulla qualità della vita nelle nostre città.”

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Istat: solo al sud Italia si continua ad andare in chiesa

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Chiese sempre più vuote in Italia: secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2022 è stato toccato il minimo storico con il 18,8 per cento delle persone che vanno a messa almeno una volta a settimana. Sono molto più numerosi, il 31%, coloro che lo scorso anno non hanno mai messo piede in chiesa, se non per un evento particolare, come battesimi, matrimoni o funerali. Il restante 50% degli italiani frequenta un luogo di culto in modo discontinuo o occasionale.

A livello territoriale è il Mezzogiorno l’area più “religiosa” del paese, con il 29,3% della popolazione che frequenta con regolarità le funzioni, il centro si attesta invece su valori del 22,6%, numeri simili al nord con il 22,7%.

Tra le regioni è la Calabria quella con il numero più alto di praticanti, il 32,3% della popolazione.
Dal lato opposto invece è la Valle d’Aosta il territorio che presenta i valori più bassi, 16,5%.

Interessante anche le differenze che si riscontrano a livello micro-territoriale, in particolare la popolazione che vive nelle periferie delle aree metropolitane frequenta mediamente il 3% in più rispetto alla popolazione che vive nel centro città.

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Istat, la Campania è la regione con la più bassa speranza di vita

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La Campania, nonostante un considerevole recupero, rimane la regione con la speranza di vita più bassa tanto tra gli uomini (79,7) quanto tra le donne (83,8).

E’ il dato che si ricava dagli indicatori demografici dell’Istat pubblicati oggi e relativi al 2024.

Nella graduatoria nazionale che fa segnare il minimo storico della fecondità, con 1,18 figli per donna, la Campania si piazza al terzo posto tra le regioni italiane. Il primato della fecondità più elevata continua a essere detenuto dal Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,39 nel 2024, comunque in diminuzione rispetto al 2023 (1,43). Come lo scorso anno seguono Sicilia e Campania. Per la prima, il numero medio di figli per donna scende a 1,27 (contro 1,32 del 2023), mentre in Campania la fecondità passa da 1,29 a 1,26. 

La perdita di popolazione nel Mezzogiorno dovuta agli spostamenti tra i Comuni colpisce tutte le regioni dell’area, con intensità più marcata in Basilicata e Calabria dove si osservano i tassi migratori negativi più alti: rispettivamente -5,0 per mille e -4,6 per mille. Anche il Molise (-3,8 per mille) e la Campania (-3,3 per mille) mostrano un tasso migratorio negativo significativo, sebbene meno accentuato.
La Campania, infine, si distingue anche come la regione con la più alta quota di popolazione in età attiva (65,3%), seguita dal Lazio (64,2%) e dalla Lombardia (63,9).

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