Il governo giallo-verde ha da poco affrontato un emblematico banco di prova: l’approvazione del Documento di economia e finanza (DEF). Esso costituisce la prima tappa del ciclo di bilancio e si articola in tre sezioni. La prima pone gli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito nell’ambito del Patto di Stabilità. La seconda, comprende le informazioni relative all’andamento della spesa pubblica con riferimento al triennio successivo. La terza, mediante il Programma nazionale di riforma, indica infine l’avanzamento delle riforme volte al rispetto dei parametri europei.
La votazione si è svolta il 19 Giugno 2018: a palazzo Montecitorio, su 576 presenti di cui 572 votanti, 330 deputati hanno votato in maniera favorevole; a palazzo Madama, invece, su 300 presenti di cui 299 votanti, 166 senatori si sono espressi favorevolmente. Come si evince dal sito della Camera dei Deputati, il documento, tra le altre cose, prevede: il rispetto i dei parametri europei, una riduzione del deficit al 1,6% per il 2018, un aumento dell’avanzo primario dall’1,5 all’1,9% ed un piano di dismissione e valorizzazione del patrimonio immobiliare, con entrate stimate per il triennio 2018-2020 di 690 milioni per il 2018, 730 milioni per il 2019 e 670 milioni per il 2020.
Diversi sono stati i commenti. Tra questi, l’intervento del deputato dem Francesco Boccia secondo cui “il quadro tendenziale [DEF ndr] è stato trasmesso alle camere; c’era tutto il tempo di trasformare quel quadro tendenziale in un quadro programmatico, ma non lo avete fatto ; […] A chi della maggioranza parla di più investimenti pubblici, sostegno ai redditi più bassi e meno pressione fiscale, o ci dite come si fa o state prendendo in giro prima il parlamento e poi il paese. […] Potevate farlo ma non lo avete fatto”.
Sempre dalle file dell’opposizione, interviene dalla rete l’onorevole ed economista Stefano Fassina del gruppo Liberi e Uguali, che sulla propria pagina Facebook ha scritto “Nel dibattito di oggi sul Def non vi è sufficiente consapevolezza dei problemi del nostro Paese, dell’eurozona e dell’Unione europea. E’ assente, rimossa, un’amara verità. Le regole consolidate del mercato unico e dell’euro sono insostenibili per gli interessi economici e sociali legati alla domanda interna: micro-imprese, artigiani, commercianti, i lavoratori connessi, precari, sottopagati, part-time. E’ necessaria una forzatura, significativa ma ragionevole del Fiscal Compact e delle principali direttive europee. LeU nella sua risoluzione propone un obiettivo di deficit al 2% del Pil per il triennio 2019-2021, mentre la risoluzione di maggioranza di M5S e Lega sembra scritta dal governo Monti: rispetto degli impegni europei per quanto riguarda i saldi di bilancio 2019-2021. Così, non vi può essere nessuna svolta per il lavoro e per le imprese. Il gruppo di LeU vota No alla risoluzione della maggioranza”.
La risposta della maggioranza è affidata alll’economista e senatore Alberto Bagnai, il quale schiva le accuse, affermando che il Def “non contempla alcun impegno per il futuro”, ma “si limita all’aggiornamento delle previsioni macroeconomiche per l’Italia”, evidenziando l’imputabilità di questo documento al governo precedente, che ha poi criticato. Insomma, come avrete ben capito, la situazione è alquanto surreale: da un lato, la precedente maggioranza è critica verso l’operato del precedente governo da essa stessa sostenuto, dall’altro un governo “del cambiamento” presenta un documento che si pone in totale continuità con la vecchia maggioranza parlamentare, senza proporre, almeno per ora, iniziative di politica economica diverse dal passato.