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[EDITORIALE] CAIVANO: Vassalli e imprenditori, due facce della stessa medaglia

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Che se ci fosse un senso allo stato in cui riversa Caivano, si potrebbe pure pensare di risanarlo, questo paese che getta le fondamenta su una storia che lo ha visto protagonista, dove i vessilli, con il passare del tempo, sono stati sostituiti dai vassalli di un sistema ipocrita e sottomesso, da quei cittadini che hanno atteso decenni, con il cappello tra le mani e la testa bassa, il “terrafondaio” che gli permettesse di portare a casa una piccola parte del raccolto, mezzadri da sempre sottomessi e contratti, spalle chiuse a divenire più piccoli davanti all’uomo studiato, genuflessi e curvi al punto da trasformare un modo di fare in difetto fisico.

Niente è cambiato che fosse una virgola, uno stato mentale, un modo di porgersi nei confronti della realtà, che potesse in qualche modo invertire il declino, lento ma inesorabile, di un paese che è ormai preda di gente che ha a cuore solo il proprio profitto.

Forse a pensarci bene avrebbe potuto essere un vantaggio, in fondo altre realtà hanno beneficiato della cementificazione e del mancato controllo del territorio costruendo un certo intreccio tra il malaffare e l’affare, in modo da poter trarne maggiore profitto, facendo ora i propri interessi e adesso gli interessi dei cittadini.

Caivano, invece, resta attaccata alla mancanza di infrastrutture, all’inutilità di metri cubi di cemento gettati qua e là random, come se la bellezza fosse cosa a parte e la vivibilità un concetto astratto.

Una commedia dell’assurdo che dà il massimo di sé quando si tratta di superare le barriere architettoniche costruendo i caselli per i dazi da pagare all’incivile usanza di corrompere un territorio già oltraggiato dai piani regolatori personali e personalizzati, quando bastava poggiare il dito su una mappa per accaparrarsi terre da arare e trasformarle in metri cubi di calcestruzzo.

Questo non significa essere imprenditori, non vuol dire saper investire o essere bravi appaltatori. Tutto questo è l’anticamera del fallimento personale. Quando hai il portafoglio pieno e il cuore vuoto, sei un fallito, una persona indegna di rappresentare una società che, in altri luoghi, si evolve alla velocità della luce, dove il destino e la salute delle persone viene prima del profitto e si fa rendita sulla loro felicità.

Imprenditori con gli occhi che non sanno guardare oltre il metro quadro che li circonda, che non vuole e non sa investire nel futuro, che non aiuta in alcun modo la crescita economica del territorio, forse per ignoranza, forse per la paura che qualcuno possa togliergli la polpetta dal piatto.

Guardatevi intorno, cosa avete per essere contenti?

Il contadino con il cappello in mano lo avete seppellito sotto le macerie di un’etica mentecatta e ancora più ignorante delle loro terze elementari, la storia l’avete svenduta per qualche pilastro in meno e dei solai in più, le grazie delle architetture storiche l’avete tradita con le bagasce del “tanto a metro quadro”.

Avete case belle in un paese che è stato trasformato in una cloaca a cielo aperto, mobili barocchi taroccati dalla necessità di apparire, sorrisi stempiati dalle preoccupazioni del soldo, figli nati già vecchi, mogli come soprammobili e meretrici da pagare a “botta”.

Pochi, davvero pochi, quelli che sono restati aggrappati al gancio della vera umanità, quella che prende e, in cambio, offre serenità al prossimo.

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