“L’irreparabile lo vediamo solo quando […] Quando noi morti ci destiamo […] e cosa vediamo in realtà?Vediamo che non abbiamo vissuto” . (Tratto da Quando noi morti ci destiamo ” di Henrik Ibsen).
I morti di sonno eravamo noi, spettatori fiaccati nel corpo e nello spirito da una assise di una noia ferale: una sorta di piaga biblica per l’umana insofferenza che ha frustrato impietosamente ogni più vago barlume di interesse e fatto di Casoria, in un pomeriggio piovoso (che anche il cielo se la piangeva a dirotto) anacronistica succursale d’Egitto. Perché ciò che abbiamo vissuto, per tre ore sottratte all’amore, al lavoro, ad una lettura interessante, al cazzeggio su FB, o più semplicemente al conforto di un divano pomeridiano, è stato il vano tentativo di dire qualcosa, da parte degli uni (il tribunale della minoranza) e gli altri ( una maggioranza coesa per necessità contingente).
Argomenti impalpabili, tesi evanescenti, sofismi arzigogolati con maldestra imperizia,per un rutilante trionfo del niente. Ma veniamo ai fatti: mozione di sfiducia nei confronti del presidente del consiglio comunale Nicola Laezza, in base ad una ratio improbabile che invoca un articolo del regolamento inesistente. Infatti, al netto di tutte le considerazioni politiche del caso e di quelle che possono essere le esigenze di copione da parte di una minoranza in cerca disperata di una ragion d’essere, il regolamento comunale non prevede la sfiducia di questa carica. Insomma, è come invocare il VAR in champion league per un rigore non dato alla propria squadra, che come ben sanno, tutti gli amanti del calcio, puoi contestare quanto vuoi la decisione dell’arbitro, ma non è prevista. Solo un esercizio dialettico bello e buono, una lamentela che cadrà nel vuoto. Ma cosa si imputa al Presidente? Una ottemperanza poco ligia al regolamento, una interpretazione talora capziosa della norma, una dispercezione dei tempi (che convoca le commissioni senza i preavvisi previsti dalla legge, con il modus operandi di una goliardica comitiva scolastica, tipo: ” ragazzi vi va un consiglio o preferite un caffè?) e soprattutto una mancanza di imparzialità. Tornando alla metafora calcistica sì cara al lettore medio, di essere arbitro un “po’ cornuto” (e non la si prenda alla lettera, ma la si legga con una sensibilità da stadio ): quello che ti fischia sempre contro, che soffre la sudditanza psicologica per la maglia bianconera (e il nostro Primo iuventino).
Insomma non trovata la legge si pensa all’escamotage regolamentare: si invoca questo e quell’articolo, si danno i numeri, che a giocarli magari ci becchi un terno, si concepisce la sfiducia ad personam: un dribbling tra i comma, una sfuriata sulla fascia…tricolore! Non posso chiedere, per carenza di regolamento, la destituzione del Presidente? E allora mi invento la giocata di fino, ti marco ad uomo, la metto sul personale. Senza fronzoli e al netto di ogni ipocrisia, caro Nicolino non ti sei mostrato all’altezza, hai dimostrato di non avere i requisiti, dunque non sei la persona giusta per questo ruolo. Salvo affrettarsi un po’ tutti a dire “che non c’è nulla di personale” che la persona, l’amico o l’uomo Laezza non si discute. E mi sovviene la simpaticissima gag di Antonio e Michele di Telegaribaldi (per i più attempati): “Nicola ti schifo, ma nel senso buono…” La minoranza chiede un voto segreto, come da regolamento: la speranza è di beccare in fallo questa maggioranza raffazzonata, che consta di uno zoccolo duro (i fedelissimi) numericamente non congruo e una piccola costellazione (piuttosto asteroidi) di insofferenti tenuti accuratamente in disparte ( magari per non far danni?).
Che vien fuori qualche Franco tiratore, ma anche, che ne so un Vincenzo, un Peppino, un Mauro, un Gennaro tiratore (scrivo per carità, solo nomi a caso, sfogliando il calendario sotto il naso, senza alcun riferimento a fatti e a persone o personaggi reali). Il buon Presidente propone invece una votazione palese: meglio evitare che affiorino certe zolle sul campo di gioco, (che se da tre a mesi a questa parte non si mette insieme un’assise ci sarà un motivo, qualche mal di pancia o forse una vera e propria gastroenterite) che da una semplice azione dimostrativa nasca poi la necessità di dover dimostrar qualcosa?
Motivazioni: come previsto dal regolamento! Perché se c’è una cosa acclarata dagli albori di questa amministrazione è che a Casoria vigono due regolamenti comunali: quello della minoranza, di cui Vignati, Marro e Salma sono strenui difensori,( e non si perde l’ occasione di rimarcare la beata, o forse pretestuosa ignoranza, di questa maggioranza, in termini di applicazione) e quello della maggioranza, con sorrisino di Fuccio griffato (che anche quando non parla ti guarda sornione e sembra che ti dica: ” fate tanto casino, ma poi non capite un caxxx”).
Magari succede che quelli della maggioranza si siedano ad uno stesso tavolo, non senza affanno: si riescano a lenire le anime più tese, e magari a trovare nuove intese… Insomma lavoriamo di fantasia. E allora come non detto, dietrofront: la maggioranza viene incontro alla richieste della minoranza, che sia scrutinio segreto. Non è che vogliamo cadere in contraddizione, non è che riconosciamo quella norma che imponga lo scrutinio segreto, non vogliamo, una volta tanto dare l’impressione di aver piegato l’interpretazione all’esigenza, semplicemente siamo aperti al dialogo.
Allora si voti per decidere come votare, giusto perché non abbiamo niente da fare. Minoranza sugli scudi: ” Stare al gioco sarebbe come sanare tutte le precedenti interpretazioni capestro “, tuona un Salma furente. Rincara la Marro: piuttosto che ammettere la loro ignoranza la mettono sull’aspetto formale, che rimediano alla solita figuraccia. La Vignati, promotrice dell’atto precisa di non voler prender parte all’ennesima farsa: la minoranza sia accomoda fuori dall’aula per una votazione ridondante. Si vota per decidere come votare (scrutinio palese o segreto) pur essendo tutti d’accordo sullo scrutinio segreto. Insomma, come andare al bar per un caffè, e votare prima di ordinare, se vogliamo prendere un caffè.
Per molto meno il barista chiama la neuro. Si discute: arriva il momento di instillare il dubbio, di pungolare l’orgoglio, di muovere le pale di un mulino a secca di voti. Ci provano, Salma, Marro, Capano, a ricordare a quegli altri là che siedono negli scranni di fronte, che sarebbe la volta buona, per qualcuno di loro di togliersi la pietra dalle scarpe. Ma il mitico Gennaro Casolare, con un intervento liberatorio, di quelli che ti riconciliano con una brutta realtà, ma senz’altro più sopportabile di una noia surreale, tesse con verve e simpatia l’inatteso panegirico del sindaco: “Pasquale può anche sbagliare, ma avrà sempre il mio appoggio, perché è uomo onesto” e risponde a chi dagli scranni avversi aveva cercato di ridicolizzare il dottor Fuccio definendolo “Un sindaco per caso”, in sostanza un accidente della politica, che ” questa maggioranza non è un caso, non una improbabile alchimia politica, bensì il riconoscimento di un leader, intorno al quale si è realizzato un forte consenso.
Sento tra le fila degli spettatori in stato pre-comatoso un rantolo di voce mormorare: ” Gennarino come al solito non la manda a dire: Pasquale questa volta ti sei impegnato: cerca di rispettare onestamente gli impegni perché altrimenti la prossima sfiducia è per te… e non è detto che sta maggioranza tenga”. Ovviamente si tratta di uno spettatore chiaramente in preda al delirio per eccesso di esposizione ad un gas di chiacchiere soporifero. Manco a dirlo come è andata a finire: come in ogni dramma di Ibsen, l’epilogo era già scontato agli esordi, ed è stato tutto un divagar della memoria (la nostra, che abbiamo cercato rifugio in mille pensieri, pur di non ricordare dove eravamo).
L’episodio più gustoso resta l’alterco di un giornalista accreditato all’ordine che pretendeva, tesserino alla mano, di poter fare il proprio lavoro: ripresa e diritto di cronaca. Manco si discutesse dell’imminente attacco di Trump alla Corea nordica, Lino Donald Fuccio e Nicolas Rex Laezza, vietano le riprese e i vigili fanno il loro lavoro (succede anche questo): lo accompagno fuori a forza, e al professionista che il tesserino sventola e impunemente rivendica, applicano indefessi la logica dei caporali del principe de Curtis, in arte Totò: quella della carta bianca.