Gli ultimi giorni sembrano essere stati la resa del Movimento, almeno così, tra una chiacchiera e un’altra, si desume dagli argomenti trattati sui social da attivisti ed ex.
Delusione per alcuni e resistenza ad oltranza per altri, una battaglia che vede gli schieramenti opposti fronteggiarsi con le armi lessicologiche più varie, spesso insultandosi, adirandosi e stuzzicandosi a vicenda, ricorrendo alle parole pronunciate dagli eletti in passato, i primi tacciando di tradimento chi sembra aver abbandonato il progetto originario, i secondi che vorrebbero la compagine al governo, a qualsiasi prezzo, in un prossimo futuro.
Resta che la storia politica dell’Italia, anche per merito dei Pentastellati, è radicalmente cambiata, la seconda volta nel giro di pochi decenni, da quel di “Mani Pulite”, che decretò la caduta della prima repubblica, passando per il Berlusconismo, fino a oggi, quando la percezione di un cambiamento epocale ha preso consistenza nelle persuasioni del comico genovese Grillo, che tanto ha fatto e tanto ha detto, ha portato a termine la vendetta per quella sua epurazione dalla televisione di stato ad opera del socialista Craxi, amico di colui che avrebbe detenuto il potere per i venti anni successivi.
I libri di storia saranno costretti a scrivere che gli italiani hanno cambiato la loro visione politica del bel paese per opera prima di un magistrato e poi di un comico.
E, fino a quando la famosa “rivoluzione culturale” è stata il perno su cui girava l’ipotesi di cambiamento, il Movimento cinque stelle ha trovato spazi immensi dove collocarsi nei vuoti lasciati da una politica inconsistente e tormentata da una crisi economica mondiale senza precedenti.
Poi si è compreso che non era sufficiente un “vaffa” per convincere gli italiani che il tempo delle vacche grasse era finito, per molti vigeva ancora la regola del “tengofamiglia”, quella delle mance da distribuire a destra e a manca per vedersi affidare contratti milionari e tenere in vita il senso di un “malvivere” diffuso, e andava fatto un passo ulteriore, prendersi quella fetta di elettorato fino ad allora appartenuto ai partiti ancor più populisti, quegli estremismi che colgono la pancia di un elettorato ormai stanco di tirare la cinghia ed essere vessato da uno stato sempre più in difficoltà economica.
Il Movimento si è trasformato in una macchina di consensi anche grazie alla lungimiranza di un apparato comunicativo attentissimo alle dinamiche di una società che tende a chiudersi a riccio davanti alle esigenze di un mondo sempre più globalizzato.
Le istanze economiche universali non danno scampo, l’umanità si avvia a cambiamenti che in questo momento non possiamo nemmeno immaginare. Il mondo del lavoro è destinato a perire se non si pensa a un rimedio che dia sfogo a una disoccupazione sempre più dilagante. Un giorno le macchine saranno in grado di svolgere la maggior parte delle mansioni che oggi sono affidate agli umani e, se non avremo prodotto una medicina risolutiva, ci avvieremo verso altri secoli di guerre diffuse e rivoluzioni dei ceti più disagiati.
Al Movimento Cinquestelle, resta il merito di aver avviato un processo a cui nessuna forza politica si potrà più sottrarre, ha prodotto cittadini consapevoli dei propri diritti, ha aperto gli occhi a decine di migliaia di persone rendendole capaci di dissentire o di plaudire alle scelte della classe politica.
È anche vero, però, che allo stesso modo ha riunito la parte più ignorante -nel senso meno offensivo del termine- degli italiani sotto una sola bandiera, quella che dovrebbe sventolare per una democrazia partecipata ma che il vento delle speranze tradite rende immobile come un vessillo al gelo delle altitudini alpine, le stesse che segnano il confine tra la nostra nazione e il resto di un’Europa che viaggia sempre più veloce della nostra bella Italia.
Allora vorrei concludere parafrasando proprio il comico genovese: “Se in Italia sono tutti politici i politici a chi rubano?”.