Chi lo avrebbe mai detto, un festival del pomodoro proprio a Caivano, il paese da cui è partita la guerra contro i prodotti coltivati nelle terre della Campania Felix, un po’ come andare a festeggiare il matrimonio nella casa del proprio ex, cornuto per giunta.
Era il 25 ottobre quando scrissi queste parole che erano l’incipit di un articolo apparso sul nostro notiziario, meno di un anno fa, quando l’organizzatrice venne tacciata di essere mendace, di parte e pagata dalle lobby dello jaca e dai coltivatori di semi di alloro, una certa Paola Dama, ricercatrice che ha sempre argomentato con scientifica certezza le sue affermazioni riguardo il dramma della terra dei fuochi.
Si sa, l’uomo è sempre alla ricerca della novità, e svilita quella della terra dei fuochi, dei pomodori dal cuore nero, delle bresaole alla carne canina, ha l’ardire di ritornare sui suoi passi e organizzare, nientedipocomenoche, un festival della terra buona, ripeto, UN FESTIVAL DELLA TERRA BUONA!!!
Insomma, le nozze festeggiate in casa sua, gli hanno dato lo spunto per un gioco di magia che non sarebbe riuscito nemmeno a Giucas Casella, un doppio carpiato all’indietro con avvitamento da fare invidia a Klaus Dibiasi, un rilancio in grande stile di ciò che prima si era distrutto, di cui non sarebbe stato capace nemmeno Berlusconi.
È cacca a papà, non lo toccare nemmeno, era l’imperativo pronunciato nel caso un bambino avesse solo provato a toccare un pomodoro, uno spinacio o un “cucuzziello” prodotto nella terra dei veleni, ribattezzata così dal prete antiveleni, antimonnezza, antidiscariche, anti… e qua è meglio che mi fermo perché, di solito, nella teologia, il suffisso dopo l’anti, prefigura sempre una persona troppo lontana dal bene, e questo sarebbe troppo anche per lui.
Mi chiedo però, che senso ha tutto questo, il significato di un evento organizzato da coloro che hanno permesso, a torto o a ragione -non è mia competenza stabilirlo-, la rovina definitiva della Campania Felix al punto da “costringere” le aziende alimentari del nord a dichiarare i loro prodotti privi di frutti provenienti dalla nostra terra.
Poi vennero chiamati razzisti, i produttori, gli stessi che per legittima difesa dovettero affrontare la crisi dei prodotti alimentari campani, gli stessi che dovettero rifiutare le derrate innaffiate con l’acqua dei pozzi avvelenati e poi magicamente ritornati potabili dopo anni in cui i contadini erano stati additati come untori e assassini.
Se provavi a dissentire, come la scienziata Dama, come minimo eri un camorrista, un sadico che godeva della morte dei bambini a causa dei tumori.
Tutto da copione, il nastro si riavvolge quando si è ascoltato e si ricomincia d’accapo, che tanto la musica è sempre la stessa, essere ascoltati, essere visibili, essere famosi, il traguardo da raggiungere.
Io un po’ sono geloso, lo avevamo ideato insieme io e Paola, il festival del pomodoro, una triste sera durante la quale discutevamo del sequestro dei pozzi inquinati non inquinati, poi di fatto dissequestrati l’undici novembre.
A dirla tutta la prima idea fu quella del festival del pomodoro realizzato nella piazza antistante la Chiesa.
Questi ce l’ho hanno copiato!
Va bene uguale, forse è il mea culpa di chi ha distrutto la filiera agricola più varia e produttiva in Italia.
Una colpa che chiede il perdono e che noi vogliamo concedere per la carità cristiana che guida la nostra esistenza.