Stamattina alle sette e trenta ero già in strada col Molosso. «Una bella corsetta fra l’immondizia di questi posti, mi farà bene», mi sono detto. L’ho imbrigliato col solito cuoio e siamo usciti. Ma invece dell’abituale spazzatura ho visto tutt’altro. Lo stupore mi ha invaso la vista appena fuori col demone che tirava al guinzaglio: era tutto pulito, in ordine, non c’era un filo di catrame a macchiare l’asfalto. Non c’era neanche l’asfalto, al suo posto ho trovato cocci molto graziosi. Le aiuole si erano allargate, riempite di fiori profumati e di alberi a fare ombra. La villa comunale stava senza cancelli a rinchiuderla, priva di quella barriera eretta per difenderla non si sa bene da chi o da cosa. In ogni caso, era libera, vi si poteva accedere senza aspettare che un pigro custode venisse a togliere le catene alle sbarre. Poi era in ordine: i bidoni dell’immondizia svuotati; il prato rasato; i cespugli spuntati; le panchine aggiustate. E anche qui i fiori spuntavano ovunque, dappertutto, di ogni colore e dimensione, di ogni tipo e fragranza. Addirittura vi erano le violette selvatiche, non le vedevo da anni da queste parti. Così pure i papaveri e i denti di leone, quei fiori spontanei che crescono senza la semina.
Le facciate dei palazzi erano tutte intonacate a nuovo. Pitturate di giallo o di arancio e ad ogni finestra ancora fioriere, sempre fioriere, tutte fioriere: fioriere in ogni dove.
Gli scheletri di alcune strutture pubbliche, che da anni e fino a ieri, erano rimaste incomplete non si sa per quale motivo, con mia ulteriore sorpresa erano state completate con nuove funzioni. Nello slargo del mercato, una di queste l’ho ritrovata adibita a biblioteca, sala convegni, bar, ristoro. Una folla di studenti a viverci dentro, allegri discutevano, leggevano, suonavano la chitarra in gruppo. Insomma quello scheletro si era popolato, diventato un edificio contemporaneo, rispettoso dell’ambiente, alimentato da pannelli fotovoltaici, e munito di “wifi” gratuito per tutti. La facciata rivestita in legno, gli esterni attrezzai con sedute immerse nei prati e poi circondate da alberi, pare fossero magnolie e pini, non ricordo bene l’essenza usata.
Mi sono però rammaricato di non avere con me ne lo smartphone, ne la fotocamera per documentare questa magia. Volevo mostravi le foto.
Allora di corsa sono rientrato a casa, ho preso il telefonino, e sempre in compagnia di Mosè, il mio fedele Molosso, sono ritornato nei meandri della periferia scassata.
«Ahi!»: La delusione.
Era tutto sparito, ridiventato come ieri, come prima, com’è sempre stato da anni. Ho pensato al momento di essere impazzito. Mi è venuta l’ansia. Poi ho chiesto a Mosè di darmi un morso, giusto per capire se ero sveglio. Ovviamente si è rifiutato di darmelo, guardandomi placido ha tirato fuori la lingua leccandomi la mano. Allora, disperato, mi sono dato da solo il classico pizzico: «ahi!». Ho sentito dolore, quindi ero sveglio. Assodato il mio stato di veglia, ho pensato che mi avesse fatto male qualcosa a colazione. «Possibile che le mandorle e le mele diano allucinazioni?», mi sono chiesto dubbioso. È ciò che mangio di solito tutte le mattine, e non è mai capitato di avere questi effetti.
«Allora cosa potrebbe essere? Cosa sta succedendo? Com’è che ho avuto questa visione che a me sembrava reale?»
Io davvero poco prima sentivo quel profumo di violette nell’aria. Questo rudere che mostra colonne e travi scoperte, pieno di immondizia, davvero l’ho visto ricostruito, completo, adibito con servizi utili, addirittura c’erano pure persone sedute sulle panchine nuove a leggere libri.
«Sono diventato pazzo, non c’è altra spiegazione!».
Quell’ansia ha cominciata a crescere fermandosi sullo sterno, faceva vibrare il fluido colorandolo di rosso pericolo, di un rosso intermittente.
Ho cercato di chiedere aiuto a qualcuno ma ero da solo. Quindi ho preso il cellulare col quale volevo scattare le foto, ho acceso il display e… ho letto la data di oggi: “1 aprile 2017”.
Ecco. Adesso tutto si spiega.
È stata una burla, una finta. Ma chi è che poi si è messo a fare questo scherzo davvero ben fatto? A questa domanda, ci sto ancora pensando, pure adesso mentre scrivo l’articolo che troverete su blog, e che spero leggerete per intero.
Una idea su chi potesse essere l’autore, l’autrice o gli autori dello burla, ben congeniata, però me la sono fatta: forse i miei sogni beffardi. Quelli che si ostinano a sperare a credere che la realtà possa cambiare. Quelle speranze credulone accumulate nell’anno, ad un certo punto si sono materializzate e non parlo di immagini mentali, di allucinazioni. No, no. Davvero il potere di questi sogni, anche se per pochi minuti, ha realizzato l’aggiusto della periferia rotta. Non erano solo fantasie credute come reali. La magia c’è stata, era tutto vero, era tutto tangibile. Mi hanno voluto dimostrare la loro forza, sia i sogni che le speranze. La loro potenza concreta nel trasformare gli ambienti, le persone, i dialoghi, le aiuole, l’aria, i pensieri, la mentalità, e tutto ciò che può essere migliorato. Tutto.
Adesso sono quasi le undici. Questo articolo si avvia alla fine. Voglio lasciarvi con una raccomandazione. Oggi, in questa giornata strana, in questo primo di aprile che porta “le primavere” a maturazione, fate molta attenzione. Se vedete che nelle vostre città, borgate, contrade, periferie o paesi, all’improvviso si aggiustano i monumenti, le strade, i palazzi; spuntano gli alberi; crescono i fiori; sparisce il traffico; la gente diventa cordiale e sorridente; o che il puzzo di bruciato nell’aria sparisce, non credete che sia una finzione, non pensate di essere folli: sono solo le vostre speranze che si attivano per darvi fiducia. Dunque, niente medici, nessuna pillola per abbonire il vostro entusiasmo talmente presente da diventare, talvolta, reale.
“Non abbiate paura”, disse una volta qualcuno.
E voi che leggete, avete già fatto questa esperienza?…
Andrea Auletta