Casandrino

A Casandrino e dintorni, in certe ore l’aria puzza.

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C’è un modo per morire che è un po’ più zitto, non fa baccano inscenando drammi ed emozioni improvvise, soprattutto, sembra essere irreale.

Si, perché i fumi respirati non danno la sensazione di ucciderti al momento che li annusi. Oltre al fastidio della puzza orrenda, non sembra leggersi alcuna traccia della morte.

A Casandrino, come nella provincia di Napoli e quella di Caserta, gli odori nell’aria si sentono al mattino presto, intorno alle 6:00 e, poi, la sera intorno alle 22:00. A colazione e a cena. Il pranzo è risparmiato perché sarebbe troppo facile scovare i criminali che incendiano chissà cosa alla luce chiara del giorno, quando tutti sono svegli e attivi.

È il buio ad essere complice di questi untori di morti lente, la cui firma si sbiadisce divenendo illeggibile dopo anni e anni.

Un colpo di pistola, non ha segreti circa la causa del decesso. È sincero, schietto. Lascia un buco visibile da parte a parte, la sua firma è inconfondibile. Chi uccide con la pistola è leale, potremmo dire, pur restando un criminale da sbattere in galera.

Ma chi usa i fumi non ha un corpo. Si nasconde alla luce come fanno le faine o le volpi quando vanno ad attaccare le galline del mio amico che abita nel Sannio. Chi brucia veleni tossici non ha nemmeno la consapevolezza di essere un assassino perché un tumore non possiede una genesi accertabile. Compare a distanza di anni, quando l’assassino ha magari già smesso di avvelenare l’aria, o piuttosto è crepato prima della sua vittima sconosciuta, avvelenato dal suo stesso sporco affare, suicidatosi a sua insaputa.

Ieri sera ho sentito il puzzo nell’aria del cortile dove abito. Spesso queste puzze entrano nelle narici e fanno salotto nel cervello. Si sentono così tanto a proprio agio che diventano creative: cominciano a figliare cellule malate. Per fortuna, nel mio caso, sono stati i neuroni a partorire pensieri rabbiosi stimolati dal fetore. Lo ha sentito pure lui, Mosè, il mio fedele amico cane. Un puzzo intenso pure per me che ho i turbinati nasali ingrossati da anni, e che quindi mi sbiadiscono gli odori, facendomeli più fiacchi, sfuggenti e svelti. Figuriamoci cosa doveva essere per lui, quello schifo fra le sue narici a zoom, fatte per amplificare la percezione di ogni cosa abbia una presenza olfattiva, fragranza o tanfo che sia.

Dapprima ho scritto un post nel gruppo su facebook “No Al Biocidio a Casandrino”, tanto per ridimensionare, all’istante, una rabbia che si apprestava a crescere ingombrante. Mi pare di aver scritto qualcosa del genere:

“In questo momento, in via XXX, dove abito, si sente un fetore nauseante. Adesso davvero non se ne può più. Intendo denunciare questa situazione e organizzare delle ronde per controllare. Scrivetemi in privato.”

Ma non è l’unico lamento digitale che ho lanciato nell’etere della rete. Mi ricordo pure di quest’altro precedente al primo:

“Stamattina in via XXX in Casandrino si sente nell’aria un odore strano di qualcosa. Sicuramente qualcosa che inquina. Chi di voi è stanco di questo e vuole scoprirne la causa?”

Nonostante l’ora, il sonno e gli otto gradi, in ogni caso, ho tirato fuori la mia bici salendoci in groppa. Ho messo un cappellino di lana nero, la sciarpa a coprire naso e bocca, infine, mi sono lanciato nel silenzio della notte di provincia, inseguendo il filo della puzza per tentare di scoprire l’origine della brace.

L’idea di somigliare a Teseo ha abbonito per un istante l’ira, ma poi sono tornato un toro rosso, un Minotauro incazzato, e mi sono messo a pedalare forte con le zampe.

Nessuno per la strada a parte me, il filo e il freddo. La notte copre bene questi schifosi senza scrupoli, perché nonostante abbia girato a fondo per una mezzora, non sono riuscito a capirci nulla. Il tizzone che ha originato il camino di veleno era ben nascosto, si capisce. Sono quasi certo che sia stato appiccato in qualche residuo di campagna della zona, da qualcuno che nemmeno sa di avvelenare l’aria bruciando, per dire, innocue posate di plastica o rimasugli e scarti di fabbrica del tessile.

Io però questa ignorante faciloneria non riesco proprio a vederla come qualcosa che può essere perdonata. Non posso giustificare il vecchio rimbambito, tozzo e facilone, che inconsapevolmente arde assieme al legno secco un secchio rotto per esempio, o un’anta di un vecchio mobile pitturata con sostanze chimiche. A maggior ragione condanno gli imbecilli che vanno a bruciare schifezze e scarti per conto terzi, per danaro. Insomma sono contento quando vengono arrestati questi criminali con l’aggravante dell’idiozia, della demenza. Capita di rado, ma quando accade, il fluido sullo sterno, quello che indica lo stato del mio umore si colora di un giallo intenso, pieno come quello di un tuorlo d’uovo fresco, felice quanto la faccia a palla del sole a mezzogiorno.

Ciò che mi da speranza, e ne sono assai felice, è che a Casandrino, come un po’ altrove, sta prendendo piede assieme ai roghi tossici, la consapevolezza fra la gente comune di darsi da fare per agire. I Cittadini della provincia di Napoli e Caserta, cominciano realmente a svegliarsi organizzandosi in comitati, spesso determinati e, viva iddio, anche animati dalla rabbia, quella sana, quella giusta. Quella che ti fa pensare di darti da fare smettendo sterili lamenti infantili. Quella che fa ringhiare una cagna a difesa dei suoi cuccioli, tanto quanto una madre preoccupata dalla possibilità che i tumori possano strappargli via la prole.

Agli untori di cui sopra, i criminali con l’aggiunta della demenza, ai parassiti notturni furtivi come le faine, dico solo di fare molta attenzione: il popolo si è stancato di avervi in mezzo a loro, camuffati di giorno da agnellini e licantropi di notte.

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