L’olocausto è il memoriale della umana crudeltà, dice Papa Francesco. E usa la parola “momoriale” e non memoria come siamo abituati ad ascoltare.
Il memoriale non è un ricordo, a differenza del ricordo, e quindi della memoria, è il rivivere pienamente il dolore per gli scempi compiuti dagli uomini, questi, gli stessi che si indignano per tutte le persone assassinate dalla follia umana, quelli che, nell’epoca dei social, mettono nella loro paginetta il link alla frase famosa, la foto dei lager tedeschi e le immagini degli ebrei che furono deportati, ridotti a poco più che bestie, svuotati a tal punto della loro umanità da divenire oggetto di esperimenti spesso anche fantasiosi.
Ci dovremmo indignare di fronte a noi stessi, a questo uomo che Primo Levi ha ben descritto nel suo romanzo.
Ci sarebbe da chiedersi “se questo è un uomo” davanti alle barbarie cui assistiamo tutti i giorni, senza andare lontano, volgendo lo sguardo verso chi è poco distante da noi, nei confronti dei diseredati di questa società attenta agli indici di borsa e che lascia morire di freddo i suoi fratelli.
C’è da chiedersi se questo uomo è lo stesso di 81 anni fa, spiccioli di tempo, quando iniziarono le deportazioni, quando un simile decise di uccidere un suo simile per il solo fatto di appartenere ad un’altra cultura, semplicemente perché la cultura del momento aveva ritenuto che così dovesse essere.
Dovremmo provare a celebrare il memoriale di questa disfatta umana stando attenti a tutti gli olocausti che si consumano ogni minuto sotto i nostri occhi disattenti, dove le stragi sono all’ordine del giorno e il disprezzo per il prossimo è pane quotidiano.
Dovremmo fermarci per darci la possibilità di attendere che tutta l’umanità riprenda il passo e si possa costruire il mondo che tutti vorremmo ma che tutti disattendiamo.