In un campo sperimentale di Trepuzzi, si riprende a coltivare zafferano. La preziosa spezia fa la sua ricomparsa nel Salento, dov’era prodotta già prima del Medioevo. Una sfida colta e rilanciata da un vero appassionato.
Emanuele, piegato per tutta la mattinata sui quattro filari tra gli ulivi, raccoglie con pazienza questi bellissimi fiori viola. Ad uno ad uno. Li ripone con cura nel cesto di vimini e a casa farà il resto: estrarre gli stimmi, i filamenti rossi da cui si ricava la preziosa spezia, e poi seccarli. Lo zafferano fa la sua ricomparsa nel Salento. Dopo secoli di dimenticanza, questa antica coltivazione riappare nei campi. Era qui già in uso nel Medioevo ed è usata da sempre in un piatto simbolo di questa terra, la Scapece. Ma poi la troppa fatica e le importazioni a basso costo dal Medioriente ne hanno segnato la scomparsa.
Solo un vero appassionato poteva riprenderne in mano le sorti.
Qui, a Trepuzzi, si tenta di invertire la rotta, nel campo sperimentale all’interno di un’azienda bio del posto. Anche questo non è un dettaglio: una produzione senza pesticidi richiede un diserbo continuo fatto completamente a mano. Un lavoraccio. Ma ne vale la pena. E sotto diversi profili.
Sono le fasi lunari a governare i cicli: ottomila bulbi sono stati messi a dimora qui agli inizi di settembre, con la luna crescente. La raccolta, iniziata a fine ottobre, dà il meglio di sé in prossimità della luna piena: in quel momento si raccolgono fino a duemila fiori al giorno. La media quotidiana è di circa 700.
A fine mese, la raccolta terminerà e poi i bulbi riprenderanno l’attività vegetativa fogliare fino in primavera. Niente acqua, ma tanta cura, sempre, è quello che lo zafferano richiede. Almeno duecento fiori per farne un grammo. Diecimila per i 50 di questo vasetto. Grande impegno, ma anche soddisfazione.