Fin dall’antichità la Canapa (Cannabis Sativa) è stata coltivata per i suoi infiniti utilizzi.
In Italia la sua produzione era concentrata soprattutto in Emilia Romagna e in Campania; ma è in Campania dove si estraevano le qualità migliori di fibra, tanto che la pianta veniva denominata l’Oro Verde, e i territori in cui si coltivava “Terra di Lavoro”, ossia l’area che si estendeva dal fiume Sarno (SA) fino ai cosiddetti mazzoni di Capua (CE), il cui epicentro è l’area dei Regi Lagni.
La canapicoltura, fin dal XVIII secolo, era il fiore all’occhiello e la massima vocazione della regione, non a caso definita Felix, fertile.
Utilizzata in passato soprattutto per la fibra (il tiglio) e nell’industria tessile, gli utilizzi della canapa possono essere oggi i più svariati. Da quello ricreativo, il più discusso, fino all’industria edile, quella alimentare, e persino nella produzioni di bio-carburanti.
Un esempio palese della vastità degli utilizzi della canapa è la super-citata Ford T, un’automobile interamente costruita in fibra di Canapa, con motore a olio di Canapa. Il progetto diventò obsoleto con l’avvento del proibizionismo.
L’industria della canapa in Italia agli inizi del ‘900 era fiorente. Con un’esportazione di canapa di circa 604 mila quintali annui, a fronte di un’importazione di un’irrisoria quantità di 67 mila tonnellate. Un introito cash notevole per l’epoca.
Ecco un illuminante prospetto dell’indice delle esportazioni di canapa dal 1909 al 1952 redatto da canagrogroup.it:
Negli anni cinquanta la canapa trovava un suo utilizzo e suscitava interesse anche nell’arte, una prova evidente sta nel fatto che a Frattamaggiore (NA), durante la Mostra Nazionale di Pittura, di notevole successo, si poteva visitare un’intera sezione dedicata completamente alla canapa.
Con l’avvento del proibizionismo e la conseguente espansione manovrata e scorretta dell’industria pesante della plastica e quindi del petrolio, ma anche del legno, del cemento e della gomma, il mercato della canapa verrà sempre più ostacolato e sminuito. La “Terra di Lavoro” si è sovente trasformata in “Terra dei Fuochi”, dove l’industria inquinante della zona industriale più estesa del sud Italia (Caivano-Marcianise) e lo smaltimento illegale di scarti tossici e inquinanti fanno da padroni incontrastati.
L’unica speranza attuale della popolazione non sta nelle semi-utili marce di protesta dove un pastore indica una strada al gregge che si rivela essere un vicolo cieco, ma nell’informazione di ogni singolo cittadino onesto, nella memoria storica, ma soprattutto è nelle mani di quegli imprenditori che vogliono ribellarsi allo stato attuale di cose, investendo in industrie ecologiche, pulite, intelligenti e che con uno sforzo iniziale potrebbero diventare redditizie come nessuna industria petrolchimica potrebbe mai.